lunedì 28 luglio 2014

DESCRITTI: QUANDO IL TALENTO ABBONDA MA LA VITA RIESCE A CANCELLARE TUTTE LE PREMESSE

 
LA VITA PERFETTA DI WILLIAM SIDIS
di Morten Brask
Titolo: La vita perfetta di William Sidis
Autore: Morten Brask
Pagine: 387
Editore: Iperborea
 
La vita perfetta di William Sidis è, come spesso per fortuna accade, uno di quei libri che mi chiamano dallo scaffale, che si insinuano nel mio normale pensiero, come le cose belle dei tempi che furono.
Quelle cose che, in qualunque momento della tua vita tu possa pensarci, hanno sempre il sapore fascinoso della prima volta.
William Sidis era un nome per me sconosciuto, fino a qualche giorno fa. Oggi, lo sento vicino come se fosse un mio fratello.
Figlio di due medici ebrei immigrati negli USA per sfuggire al carcere zarista, William Sidis, detto Billy, era dotato di un quoziente di intelligenza tra i più alti mai registrati (alcune fonti dicono il più alto, ma si sa che con i numeri spesso non si riesce a descrivere completamente un fenomeno).
A 18 mesi leggeva il New York Times, a 4 anni imparò da solo greco e latino, a 6 memorizzava all'istante ogni libro che sfogliava.
La sua intelligenza, la grande memoria fotografica e la spiccata attitudine al ragionamento, alla memorizzazione e alle complicazioni del calcolo mentale, lo portarono a bruciare le tappe fino a presentarsi, a soli 11 anni, davanti a un pubblico di scienziati di Harvard per formulare la propria teoria sulla quarta dimensione.
Un mostruoso crescendo che non avrebbe dovuto far dimenticare, agli adulti, che davanti avevano in fondo solo un bambino, con la propria fragilità e il desiderio di crescere accompagnandosi alla più assoluta normalità.
Ma come si fa a essere e soprattutto a vivere in modo normale, quando si sale alla ribalta della cronaca, quando si è oggetto della curiosità e dello studio perfino da parte del proprio padre, oppure s’innesca una possessività maniacale da parte della propria madre?
Si finisce così per estraniarsi dalla realtà, perdendo i punti di contatto con i simili, senza riuscire a vivere e realizzare le cose più elementari, come giocare con i coetanei, dichiarare il proprio amore alla ragazza che ti piace, relazionarsi con il prossimo.
William cresce, ma ben presto un suo interesse per il socialismo lo spinge a esser protagonista di una manifestazione che, per quanto pacifica, porta a tafferugli e al conseguente arresto.
Nel frattempo, William aveva avuto modo di innamorarsi di Martha, la ragazza per la quale si era fatto trascinare in quella vicenda.
Pur se fiducioso nel rilascio in appello, sono i suoi genitori (nel frattempo il padre dirigeva una clinica per psico-patologie) ad anticipare i tempi con un’azione che disgrega in modo definitivo il rapporto con il figlio.
I coniugi Williams, certamente armati del miglior amore filiale ma erroneamente applicandolo, ne assumono la tutela facendo dichiarare William mentalmente instabile. E questo, agli occhi del sempre più introverso Billy, diventa il tradimento maggiore.
La sua fuga e il suo conseguente desiderio di far perdere le proprie tracce, la ricerca di un lavoro il più possibile anonimo, costituiscono la trama degli anni a venire.
L’unica persona che riuscirà a stargli vicino e, forse, ad accettarlo senza deluderlo, sarà un vecchio amico di Harvard, anch’egli fuggito dalla prospettiva di una brillante carriera ma per motivi del tutto differenti da quelli di William.
Eppure, l’amicizia vera non salverà il protagonista, morto per un’emorragia cerebrale, solitario nella imperfetta perfezione della propria esistenza.
Brask, talentuoso autore del libro, ne racconta la storia con sapienza, passione, linearità.
Il lettore si ritrova preso per mano, condotto e coinvolto nei momenti cruciali dell’esistenza di questo sfortunato genio, di questa vittima del proprio smisurato talento.
Lo stile di Brask è asciutto, suadente e mai ridondante. S’insinua nelle pieghe dell’animo con la dolcezza di una voce materna, senza mai cadere nell’abisso del patetico, pur rasentandone spesso l’orlo.
E il rifugiarsi, per scelta o costrizione, nei meandri della Vita Perfetta, o madama Solitudine che dir si voglia, è l’unico risultato cui approda Billy, in barba alle enormi potenzialità che la natura gli aveva fornito.
Inutile aggiungere altro, se non che ritengo La vita perfetta di William Sidis uno dei libri più belli che abbia letto negli ultimi anni, un segno piacevole che non ho perso il mio tempo.
E una lezione in più, per farmi capire (e farci capire) che non basta il talento per vivere una vita su misura, per essere liberi e non prigionieri di ciò che dovrebbe essere un dono, ma spesso si tramuta in un insostenibile fardello che baratteremmo volentieri con un sorso di normalità.
 
 


mercoledì 28 maggio 2014


DESCRITTI: UN ROMANZO DI DENUNCIA POLITICA E SOCIALE, DOTATO DEL NECESSARIO HUMOUR PER FISSARE AL MEGLIO LE IDEE

 




 

LA BASE ATOMICA

di Halldór Laxness

Titolo: La Base atomica

Autore: Halldór Laxness

Pagine: 272

Editore: Iperborea

 

La base atomica è uno di quei libri che sfuggono a ogni etichetta.

Halldór Laxness, premio Nobel nel 1955, lo scrisse nel 1947, anticipando la realtà con occhio e acume quasi profetici.

Il romanzo fu censurato all’epoca della guerra fredda per via di una frettolosa analisi politica figlia di quei tempi, ma viene riscoperto in Italia grazie ai tipi di Iperborea.

Nel testo la prima cosa a sorprendere è l’attualità e la freschezza del linguaggio, per tacere dei molteplici livelli di lettura possibili.

Quando inizi a parlarne, cominci a pensarlo come un romanzo di denuncia sociale, poiché si parla di un popolo al margine tra le inconsuetudini legate all’arrembante modernità e la forza del legame col passato.

L’emancipazione fisica, morale, biologica, culturale della donna, è brillantemente affrontata incentrandola nella figura splendida e straordinariamente fragile e umana di Ugla, la protagonista.

La semplicità della donna che viene dal nord, da quelle zone dell’isola in cui il tempo sembra essersi fermato, stride con l’accozzaglia di abitudini moderne e finzioni tragicomiche che affliggono gli abitanti di Rejkjavik, almeno nelle persone con cui Ugla viene in contatto.

Ugla, fascinosa donna di formazione e provenienza contadina, non può che risentire del forte impatto con la vita di casa del deputato Arlánd, dove soggiornerà per un breve periodo svolgendo mansioni da cameriera. In tale contesto, non riesce a sfuggire all’acidità mai velata della moglie di Arlánd, ai (tanti) vizi e le (poche) virtù dei figli del deputato, nonché il fitto sottobosco di figli di papà, politici ondivaghi e profittatori che frequentano la famiglia.

Sua è la voce narrante, una voce intrisa di vivo umorismo quando narra certi passaggi, ma anche tesa in una malinconia senza tetto quando parla di sé stessa, dei rapporti con la società che è sul bilico della definitiva trasformazione, senza però essere assolutamente pronta.

Ugla conoscerà personaggi strani, surreali come l’organista, il quale infiorirà ogni suo intervento con una filosofia di vita pregna di poesia e di saggezza, unica in un contesto in cui spesso i protagonisti sembrano perdere l’identità e andare a spasso per strade che possono allontanarli per sempre dal vero significato dell’esistenza. Tra questi emergono anche altri, come il dio Brillantina, il poeta atomico e la prostituta Cleopatra, così tratteggiati da sembrare un assurdo riempimento ma godibilissimi nell’insieme.

Giuliano D’Amico, nella postfazione al romanzo, ne sottolinea l’aspetto surreale scrivendo: “… L’essenza dell’organista e della sua «comune» è quasi onirica (siamo sicuri che non sia solo un sogno? Del resto Ugla è l’unica a vederli e frequentarli…)”.

Il romanzo è leggibile anche sotto altri punti di analisi, come una sorta di gioco di scatole cinesi.

La denuncia sociale lascia lo spazio ai richiami del passato, a cenni della tradizione isolana e al consolidamento di un’unità fondata sulla difesa della propria storia (la questione delle ossa del Prediletto, il poeta Hallgrìmmsson sepolto in terra straniera e dell’argilla danese), anche per difendere la propria terra e soprattutto il popolo dalla totale perdita d’identità.

La questione dell’accordo con gli Stati Uniti (davvero siglato nel 1946 come accordo di Keflavík) che avrebbe consentito agli americani di controllare la Germania all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, rimbalza più volte nel romanzo, a volte sotto forma di terrore per l’avvento dell’atomica a volte tirando in gioco le proteste (condivise in vita dallo stesso Autore) contro la “Vendita dell’Islanda”.

Il romanzo assume anche i contorni di una stuzzicante poesia, di un’espressione di dignità che non stupisce provenga propria da parte di Ugla, messa di fronte a una gravidanza inattesa e forte di quei valori che solo la sua personalità semplice e genuina poteva conservare, nonostante tutto.

Ed è lei, in conclusione, ad attingere alle parole dell’organista; la sintesi del discorso dell’Autore la trovi anche nel concetto dell’Islanda che continuerà a esistere, anche dopo che sarà scoppiata la bomba atomica, perché quando quest’ultima “…avrà raso al suolo le città che sono rimaste indietro rispetto all’evoluzione, sorgerà la cultura delle campagne, la terra diventerà il giardino che non è mai stata  se non nei sogni e nelle poesie…”.

E allora perché non credere che, nonostante tutto, il nostro futuro sia nelle cose semplici che già ci attorniano, che abbiamo imparato a conoscere fin da piccoli, quando eravamo ingenuamente liberi di scoprire, e quando abbiamo ammirato la struggente bellezza e l’incomparabile perfezione di un fiore, simbolo di una rinascita sempre possibile?

venerdì 16 maggio 2014


DE-SCRITTI: DUE IN UNO. UNA PATRIA, DUE AZIONI, UNA VITA O UNA DOPPIA VITA?

                                                                                           


DUE IN UNO

di Sayed Kashua

Titolo: Due in uno

Autore: Sayed Kashua

Pagine: 352

Editore: Neri Pozza

 

Cominciamo con una frase.

«Ti ho aspettato e non sei venuto. Spero che vada tutto bene. Volevo ringraziarti per la notte scorsa, è stata meravigliosa. Mi chiami domani?».

 Cosa fareste voi, se trovaste un foglietto con sopra scritta una frase del genere, per di più con la grafia di vostra moglie?

Questa frase è l’espediente narrativo su cui ruota una mia piacevole scoperta bibliografica: il romanzo Due in Uno di Sayed Kashua, edito da Neri Pozza nella collana Bloom.

Meglio però precisare una cosa: dietro non c’è solo una storia di gelosia, ma un’architettura dell’intreccio e del intrigo direi eccellente, sorprendente, curiosa, avvolgente.

La trama del romanzo si dipana lungo due binari; le due parti della storia sono scandite da un punto di vista narrativo diametralmente opposto.

Interessante anche la scelta del titolo di ogni paragrafo: sostantivi, verbi, località, oggetti, spezzoni di frasi.

Tutti si ritrovano nel testo del paragrafo cui si riferiscono, messi lì quasi fossero un pro memoria, ma che secondo me hanno un significato nascosto che sarebbe bello indagare.

Di cosa parla, allora, Due in uno?

Da una parte, c’è la figura di un avvocato arabo in carriera, residente a Beit Safafa (il quartiere più ricco di Gerusalemme) il quale conduce una vita agiata, da protagonista, con una famiglia felice. Il suo unico cruccio è una scarsa cultura, e per ovviare a questa pecca e non sentirsi inferiore alle proprie frequentazioni sociali, egli acquista periodicamente libri consigliati da Ha’aretz, rivista di settore.

Tra questi suoi acquisti, un giorno gli capita tra le mani una copia gualcita de La Sonata a Kreutzer di Tolstoj. Sua moglie, un giorno, glielo aveva nominato, senza poi tornarci più sopra.

All’interno del libro, un sera, l’avvocato trova un biglietto con la frase che avete letto all’inizio di questa recensione.

Quella frase rappresenta la svolta del romanzo.

Con quella frase inizia ad aprirsi una voragine sotto il pavimento di certezze che l’uomo pensava di aver costruito.

Insicurezza, dubbi, titubanze, un’improvvisa cattiveria si fanno strada nell’animo dell’avvocato.

Inoltre, il risveglio dell’orgoglio arabo ferito, la gelosia che lo attanaglia, tutto concorre nel modificare il suo comportamento, mutando il sospetto in fissazione. Seguire la moglie per le strade di Gerusalemme, controllandone spostamenti e verificando ogni suo passo diventa la conseguenza più ovvia di tale stato d’animo.

Dall’altra parte, la storia viene narrata in prima persona da un altro arabo, Amir, il co-protagonista del romanzo. Giovane assistente sociale, Amir vede la propria vita mutare in seguito all’assistenza a un giovane israeliano (Yonatan) in stato vegetativo, trovando suo malgrado la strada per il proprio ingresso nel mondo, seppur contraddittorio, in cui vivono due realtà diverse come quella araba e quella ebraica.

La contrapposizione esiste, a livello culturale, economico, umano, questo è indubbio. E allora chi meglio di uno che la vive, che la conosce per presa diretta, poteva descrivere il dedalo di intrecci e la straripante fonte di confronto che emerge dalla coabitazione forzata in quei territori?

Tornando alla storia in sé, alla trama, ho già detto che essa viene condotta lungo due binari separati con stile, con tono incalzante.

Pagina dopo pagina, il lettore si chiede continuamente non solo come andrà a finire, ma il perché dei singoli passaggi, apparentemente scollegati ma agganciati in un modo lucido fino alla parte finale.

Infatti i binari, contrariamente al parallelismo infinito, in questo caso a un certo punto s’incontrano, e quando ciò accade portano a nuove scosse e modifiche nelle vite dei protagonisti.

Come ciò accada e quale sia il punto in comune delle due parti della storia non ho alcuna intenzione di rivelarlo.

Sarà bello scoprire da voi, leggendo le pagine di questo interessante testo acclamato dalla critica e dal pubblico in Israele, tutto quanto io non vi abbia rivelato (ed è il più, è chiaro).

Così avrete anche il piacere di assaporare il sorprendente finale.

Concludo con una frase, questa volta di mio pugno:

«Leggere le culture altrui è il modo migliore per ampliare la propria; leggere le parole altrui è il modo migliore per capire le persone. Se siete d’accordo con me, non fatevi sfuggire questo libro.

F.to Enzo D’Andrea».

 

giovedì 24 aprile 2014


DE-SCRITTI: LA STRUGGENTE BELLEZZA DELLA NATURA, COME IN UN DIPINTO A TINTE DI FUOCO NEL GHIACCIO DESERTO DELL’ARTICO. UNA STORIA MEMORABILE

 


 

IL COLLEZIONISTA DELLE ULTIME COSE

di JEREMY PAGE

 

Titolo: Il collezionista delle ultime cose

Autore: Jeremy Page

Pagine: 367

Editore: Neri Pozza

 

Quando non avremo altri orizzonti davanti a noi, ci troveremo davanti al limite. Quella sottile linea ci separerà dall’abisso o dal sogno, e il passaggio non sarà indolore.

Non si tratta solo di un passaggio materiale attraverso limiti geografici concreti, ma anche di un’introspezione profonda e dolorosa per capire fin dove si può spingere l’animo umano, lanciato in un viaggio che solo per alcuni si concluderà con un ritorno.

1845, porto di Liverpool. Eliot Saxby, un naturalista che colleziona uova e altri reperti naturalistici e altre piccole cose rare o quasi introvabili, viene pagato da influenti amici per imbarcarsi su un vecchio brigantino a tre alberi, l’Amethyst.

Lo scopo del viaggio è la ricerca di reperti di esemplari di alca impenne, un uccello dato per estinto e le cui ultime tracce si perdono nella foschia che avvolge un’isola disabitata al largo dell’Islanda.

La destinazione del brigantino è l’Artico, dove il capitano Kelvin Sykes conta di rifornirsi di materiale vario da poter tramutare in moneta sonante, spesso il suo vero cruccio. A bordo, oltre al mite e spaurito Eliot, viaggeranno esemplari di un’umanità strana, sfuggente e piena di interrogativi. E non solo tra i passeggeri, in particolare Edward Bletchley, un giovane imbarcatosi per dare la caccia agli animali artici e la sua compagna di viaggio, una misteriosa ragazza che suscita visioni e riporta a galla vecchi ricordi e angoscianti pensieri nella mente di Eliot, che si scoprirà mai del tutto serena.

Infatti, anche tra l'equipaggio ci sono tante di quelle tare e di quelle miserie dell'animo da far sì che ognuno di essi abbia il proprio armadio colmo di scheletri. Come scrive lo stesso Autore: "Mi resi conto di essermi imbarcato in un viaggio pieno di misteri, alcuni alla mia portata, altri oscuri e impenetrabili come l'Oceano oltre il parapetto".
 
Sullo sfondo, la tragedia degli animali dell’Artico, foche, trichechi, orsi,  uccelli, balene, trucidati per ricavarne barili d’olio, grasso e penne, per rinverdire un commercio attivo in quei tempi, quando i mari artici non venivano più visti come mete di conquista scientifica ma come luoghi di saccheggio, al di là di ogni ragionevole limite imposto dalla natura e dal buonsenso.

Ed è proprio la Natura con la “enne” maiuscola la vera protagonista della bella storia che Page, dotato scrittore già sceneggiatore e editor per la BBC e per Channel4, narra con maestria encomiabile.

I potenti tratteggi e la lirica sicura e calibrata, uniti alla densa rappresentazione dell’atmosfera del tempo, trascinano il lettore a bordo del malandato brigantino, facendogli provare gli scricchiolii del tavolato del ponte, assaporare la brezza del freddo nord, le foschie e l’ondeggiare selvaggio quando si scatena la tempesta e solo Dio si interpone tra la tragedia e un altro giorno in questo malandato mondo.

Una prova di gran maestria da parte di uno scrittore che ha riportato l’atmosfera e il sapore di altri tempi, mescolando una trama di passioni, desideri, vigliaccherie e aspirazioni, angosce e stupidità umana. Il ritratto dell’umanità che emerge è impietoso, poiché la brama e il desiderio oscurano la ragione isolando ogni individuo e rendendolo simile solo a sé stesso.

Page ha saputo trovare l’intonazione e lo stile dei grandi scrittori dell’Ottocento, creando un vigoroso intreccio psicologico e materializzando paure e sentimenti con gran sagacia.

 Il suo scopo è stato, a mio modesto avviso, pienamente raggiunto. E scusate se è poco.

 

giovedì 6 marzo 2014


DE...SCRITTI: UN VENTO CHE SI PORTA VIA GENTE E RICORDI, LASCIANDO DENTRO FORTE IL SAPORE E LA CRUDEZZA DEI CONFINI DEL MONDO

 

 

ULTIME NOTIZIE DAL SUD

di Luis Sepulveda, con foto di Daniel Mordzinski

 

Titolo: Ultime Notizie dal Sud

Autore: Luis Sepulveda

Pagine: 168

Editore: Ugo Guanda

 
Chissà perché, quando penso alla Patagonia, alla Terra del Fuoco, vedo e sento davanti a me qualcosa di più di semplici sterminate distese di terreno, a un passo dal cielo, un orizzonte lontano in cui il chiarore delle rade nuvole e il brunito del suolo sono così vicini da sembrare dei gemelli siamesi?

Forse la colpa è mia, della mia inguaribile vena romantica quando sento parlare di luoghi lontani? Oppure io non c’entro nulla e il mio è solo uno stato emotivo indotto dall’abilità fascinosa di certo modo di raccontare le cose? La cosa più probabile è che la risposta sia lì, giusto nel mezzo, e che io ogni volta riesca a finirci giusto dentro.

Il grande potere evocativo di siffatti luoghi emerge vivo e potente ogni volta che a parlarmene è Luis Sepulveda. Leggo ciò che scrive il cileno e mi ritrovo dentro ogni metro di terra percorso, ogni folata di vento, ogni filo d’erba selvaggiamente scosso dalla furia degli elementi.
Come dice lo scrittore in un breve passaggio:

Le nuvole erano così basse che si potevano toccare. Scendendo una collina ci entrammo dentro, l’automobile fu circondata da una fitta cortina di nebbia, perdemmo l’orientamento e il caso ci fece lasciare la strada che collega El Bolsom a El Maitén e prendere un sentiero. In Patagonia sostengono che fare dietrofront e tornare indietro porti sfortuna, perciò ligi alle usanze del luogo andammo avanti, perché il nostro destino è sempre avanti e alle spalle dobbiamo avere solo la chitarra e i ricordi.”

Ultime Notizie dal Sud è un testo sulla decadenza di un mondo che già oggi non è più come venne descritto, quando a intraprendere il viaggio da cui tutto nacque furono due amici, Luis Sepulveda e il fotografo Daniel Mordzinski, autore delle splendide immagini che corredano il racconto.
Nel 1996, a Parigi, i due pianificarono un viaggio alla (ri) scoperta di uno dei confini del mondo, una terra di cui già altrove il buon Luis ha cantato il proprio perduto innamoramento.
Armati di zaini, Moleskine e Leica, i due si sono messi alla ricerca (volontaria e non) di storie, gente e dettagli da cui trasparisse l’essenza di quel mondo. Un mondo fatto di solitudine, magia, ebbrezza, vento, leggenda.

L’ideale per un viaggio. Ciò che chiunque lasci temporaneamente la propria casa vorrebbe vedere (forse). Questo viaggio ha portato i due a vivere la crudezza di una terra e assaporare scampoli della vita e dei ricordi dei pochi sopravvissuti di epoche passate.

I personaggi descritti, se si vuole anche con il giusto tocco romanzato che non guasta mai, sono notevoli, bislacchi, particolari ma tutti inequivocabilmente magici.
I racconti si succedono facendoti venir la voglia di incontrare quella gente, per poi realizzare quanto ciò non sia più possibile.

Un liutaio (Tano) che si sposta nelle giornate ventose alla ricerca del legno più adatto per il proprio violino, una vecchietta che vive sola da anni ed ha il dono di rendere fertile e vivo tutto ciò che tocca, un ubriaco che sostiene di essere un discendente di Davy Crockett, l’ultimo viaggio su un treno che appartiene solo ai ricordi della gente e la storia di Coquito, un bizzarro folletto sempre alla ricerca di un cicchetto. Non possono mancare i leggendari gauchos o le tracce di Butch Cassidy e Sundance Kid, ma tutto il libro è un susseguirsi di magica composizione e immagini nitide e allo stesso tempo sfumate nel tempo.

Sepulveda, che parli di gatti e gabbianelle o rivolga lo sguardo nostalgico verso il Sudamerica, è bravo. Ma bravo davvero (cosa scontata da dire ma mi piace ribadirlo).

La conferma è stata la sua abilità nel prendere i miei occhi e i miei sensi e portarli in viaggio, in quelle terre lontane che non ho mai visitato, se non nei panni di Sepulveda (e di un certo Chatwin, in precedenza).

E, concludendo, cito un altro passaggio del libro, l’essenza dello stesso:

Nulla di quanto abbiamo visto è ancora come lo avevamo conosciuto. In qualche modo siamo i fortunati che hanno assistito alla fine di un’epoca nel Sud del Mondo. Di quel Sud che è la mia forza e la mia memoria. Di quel Sud a cui mi aggrappo con tutto il mio amore e tutta la mia rabbia. Ecco perché queste sono Le ultime notizie dal Sud.”