lunedì 26 gennaio 2015


DESCRITTI: LE IMPRESSIONI ACUTE DI UN INGUARIBILE SOGNATORE

 



 

ATLANTE IMMAGINARIO - Nomi e luoghi di una geografia fantasma

di Giuseppe Lupo

 

Titolo: Atlante Immaginario - Nomi e luoghi di una geografia fantasma

Autore:Giuseppe Lupo

Pagine: 160

Editore: Marsilio

 

 

Atlante... che nome magico è stato questo per me quando, da spirito che iniziava a sbocciare in quel delle elementari, trascorrevo ore e ore a percorrere strade, memorizzare nomi di città, fiumi, mari e montagne. E immaginare mondi, geografie, genti e parlate.

Atlante immaginario? Certo, perché no?

Sarebbe stato nelle mie corde scriverne, peccato che l'abbia fatto già qualcun altro.

Ora, potrei rammaricarmene in eterno, come se quel qualcuno mi avesse rubato non dico l'idea, ma almeno l'emozione di farlo. E invece, come avrei dovuto immaginare, quel qualcuno l'ha fatto in maniera egregia, non fosse altro perché diversa da come avrei fatto io.

E, nonostante questo ammanco (?), l'ha fatto pure in maniera ricca di fascino, colta e spigliata, leggera e arguta, accessibile a tutti pur nella sua ineffabile correttezza, perché non stanca mai la lettura.

Ho scoperto Giuseppe Lupo non da molto, a esser sinceri. Ma, da quando è avvenuto, sono contento di averlo aggiunto, seppur da poco, negli scaffali della mai - troppo - sazia fame di letture.

L'ultima sposa di Palmira e Viaggiatori di nuvole mi hanno rivelato una penna lieve, sognante e affabulatrice, flessibile e morbida come il caucciù, ma che quando vuole s'irrigidisce come uno stiletto e coglie nel segno, lasciando una traccia come le orme di un passaggio importante.

Lupo sa aprire porte chiuse da tempo, sensibilità sopite ma mai del tutto spente, venti che avvolgono con suoni e profumi di terre lontane eppure tanto vicine a noi da non rendercene nemmeno conto.

In quei libri, ho vissuto il saper narrare, il sapersi lasciare nelle spire del racconto che ti avvolge come un serpente bonario, nell'inconsistenza delle nuvole (tanto care a Lupo, vizio comune a tutti quelli che vivono anche di sogni).

E avverti quel senso di pellegrino della parola, quell'essere viaggiante sospeso sui luoghi e ondeggiante in un tempo letterario, quindi infinito.

Atlante immaginario (etc.etc.) non è però un libro di viaggio, e non è nemmeno un romanzo.

Non è una enciclopedia, e nemmeno una guida pretestuosa.

Non potrebbe, e in primis perché annovera scritti a cadenza che non hanno presunzione di insegnare niente a nessuno (semmai vogliono trasmettere emozioni), osservazioni e opinioni, spesso fatte con l'occhio del Palomar calviniano, e cogliendo sempre nell'attuale pur divagando in quel mondo del tutto e del nulla che tanto affascina (me stesso, in prima, seconda e terza persona).

I testi, provenienti da una rubrica che l'Autore teneva sull'Avvenire, coprono una serie di tematiche che l'hanno ispirato, tra cui molte notizie che ne hanno catturato l'attenzione (sovente si affaccia la sua curiosità sulle nuove tecnologie, e l'occhio arguto si affretta, ma con garbo, anche a visualizzarne effetti sul futuro della nostra vita) o ricorrenze particolari.

La parola, spesso, ha un connotato geografico. Ma non si tratta di una geografia reale (o più precisamente, non sempre), bensì di una geografia fantasma, che a volte esiste solo nella testa di chi scrive.

Probabilmente, è solo una geografia di luoghi e ricordi, a volte mondi inventati (Agropinto, Caldbanae, Palmira?), ma sempre con uno spirito che rimanda ai sogni dei bambini, quelli che si estraniano di colpo per partire sulle ali della fantasia (magari sulla "...poltrona volante di stoffa color nocciola...") e inventano storie, le vivono, ne soffrono e gioiscono, in preda a un entusiasmo che il divenire adulti, per fortuna, non sempre uccide.

Vorrei dire a Giuseppe Lupo che è vero, quanto egli sostiene (questa è un'epoca che ha ucciso la fantasia), ma è vero per fortuna un po' più della metà, e non oltre.

È vero che oggi, per esempio, gli "...Occhiali di Google non vedono le nuvole...". Ma è anche vero che ampliano le visioni, pur senza essere il motore vero della fantasia, della voglia di immaginare.

Per quello, c'è bisogno di tutto il nostro acume, di tutta la nostra sensibilità (quella, forse, non si potrà uccidere; magari occorre solo stuzzicarla, di tanto in tanto, per sentirla viva).

Infatti, come lui saprà, qualche cavallo libero ancora c'è, in giro. Di quelli che nitriscono su note proprie, indipendenti, capaci di scavalcare i recinti e correre all'impazzata, a perdifiato, spostandosi di qua e di là sulla spinta dell'estro, del gusto e, appunto, della fantasia.

Ed è bello conoscerne, di elementi simili. Non voglio scrivere di ogni breve capitolo che compone il testo, perché toglierei qualcosa e non aggiungerei migliorie.

Rivedo in certi passaggi quella meraviglia di scoperta che contraddistinse il Marco Polo nazionale, senza il quale avremmo atteso secoli per godere di certa conoscenza ("... e' non fu mai uomo né cristiano né saracino né tartero né pagano, che mai cercasse tanto nel mondo...", citando le ultime frasi de Il Milione).

Mi basta esternare la mia impressione: quella di un uomo (prima dell'Autore) che crede in ciò che scrive anche quando, magari, è invenzione pura.

E questa è la grande dote che aiuta a creare mondi immaginari, perché la parola scritta, usata per edificare (case o grattacieli, si vedrà), deve servire sì per elevare la cultura, il linguaggio, ma anche per un'altra esigenza dell'uomo, quello a cui nessuno dovrebbe mai rinunciare: il sogno.

E sognare, oggi, è ancora possibile.

Basta volerlo.

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